A DIO, Francesco, ragazzo meraviglioso. di Domenico Cricchi
La morte di un figlio è un evento antinatura; l’unico che può far desiderare la propria morte, ove fosse possibile, invece di quella del generato, perché il rinnovamento della vita lo impone. Lo stordimento, il dolore ed il senso di sconfitta conseguenti ad un evento per il quale non si era preparati ci rendono del tutto simili ad un campione di pugilato, pestato, sconfitto ed umiliato. Poi la psiche e l’anima prendono a riorganizzarsi, a cercare una finalità ed un perché a ciò che è accaduto, a renderlo in qualche modo accettabile ed accettato, a trovare in fondo al buio del tunnel la luce della rassegnazione. In così tumultuosa evoluzione è prevalente il senso della di-sperazione, ossia mancanza di speranza, di divenire, di progettualità, di ragione di vivere. In passato ho avuto personale conoscenza di genitori che hanno perduto un figlio affetto da grave handicap; certamente ho provato empatia per il loro dolore, ma solo ora posso comprendere la differenza fra vita e morte. La morte è la negazione di tutto, la vita, anche se disgraziata e sofferta, è purtuttavia l’alito dell’esistere per sé e per gli altri.
Non so dire se nella perdita di un figlio esista una scala del dolore in dipendenza dell’essere di esso; dal punto di vista materiale vi è sicuramente relazione fra il bene che si aveva e che in un istante non vi è più, dal punto di vista affettivo un figlio è comunque un figlio, proiezione della nostra vita nel futuro.
Francesco è stato un dono grande, un susseguirsi di scoperte del Suo essere che regalavano ogni giorno una gioia e continuo motivo di orgoglio. Da piccolissimo la spiccata attitudine ad imparare gli consentì di leggere e di conoscere i colori già a sedici mesi, di imparare i segnali stradali a due anni; da bambino, ad otto anni, di vincere il 1° premio nazionale di organo elettronico (categoria Juniores) ed altri premi nazionali; poi le innumerevoli passioni per la biologia, la fisica, il collezionismo, gli sport, con la vincita di premi anche in questo campo, senza mai trascurare la vita spirituale e la fede.
A diciotto anni decise di entrare nell’Accademia Militare dell’Esercito Italiano, superando brillantemente il concorso con le sue sole forze e fu il più giovane cadetto del 184° corso. Abbracciò la vita dura dell’allievo ufficiale con la solita passione, senza mai pentirsi della scelta fatta, alimentando l’amicizia degli allievi del corso di Medicina e Chirurgia, prima in Accademia poi nel Policlinico modenese. Ci teneva a precisare di voler essere "prima ufficiale e poi medico". Nel settembre 2004 ebbe i gradi di sottotenente, nel luglio 2008 avrebbe conseguito la laurea sanitaria e la promozione a tenente, poi sarebbe stato assegnato ai reparti operativi, ma mi confidò di avere paura delle bombe antiuomo, “quelle che, se non uccidono, rendono inabili per tutta la vita”. Invece lo scorso 17 luglio il tragico evento: una manovra assassina non ha lasciato possibilità alcuna di salvezza a Francesco, che pure era motociclista esperto, (solo sei metri di frenata…!) e alla sua amica Laura, giovane veterinario dell’Esercito, ancora oggi in coma.
Abbiamo conosciuto gli amici di Francesco ed appreso notizie sulla sua vita durante il distacco dalla famiglia, che durava ormai da cinque anni: il suo prodigarsi per gli allievi più giovani, l’essere l’elemento di congiunzione fra il mondo militare e quello civile universitario, il cameratismo generoso, la correttezza nell’amicizia, la pratica religiosa, costante a Modena come a Rieti. Il dolore per la perdita di un bene così prezioso può trovare la propria sublimazione solo nella nostra fede cristiana. Ora che visito più spesso il Cimitero di Rieti, scopro tanti monumenti funerari ornati di colonne spezzate, di urnette e angioletti, segni evidenti di morti premature, ed ho notizia di tragiche dipartite, più numerose di quanto pensassi.
Tanto e così diffuso è il dolore che si rispecchia nella morte di Cristo, anch’Egli figlio, vittima innocente dell’errore umano, e per questo simbolo tragico del più angoscioso dolore. Crediamo nella resurrezione di Cristo come nella resurrezione a venire dei nostri cari. C’è solo da attendere, ingoiando a stento le lacrime, perché a tanto dolore non vi è alternativa che la mente umana possa comprendere. A Dio, Francesco.
Papà
Agosto 2007 |