Opuscoli 14° volume: Sara Cavallini
Associazione Italiana Familiari e Vittime della Strada onlus |
Sara Cavallini, 25 anni; - Vigevano 23/02/1989 - Pavia 06/01/2015 |
SARA CAVALLINI – in suo ricordo – la mamma La mia bambina nasce all’Ospedale di Vigevano alle ore 17,10 del 23 febbraio 1989, 4 chili. Matteo, suo fratello maggiore di 2 anni e 9 mesi, si innamora di lei a priva vista, nessun problema di gelosia anzi la donna della sua vita per sempre. Matteo e Sara crescono felici, complici, amici, compagni di giochi, due bimbi adorabili, vivaci, educati, rispettosi. Sara, da subito, ama studiare e senza nessuna difficoltà a 23 anni, 14 aprile 2012, si laurea in scienze della comunicazione, innovazione, multimedialità all’Università di Pavia. Sara è una sportiva: dall’età di 8 anni e fino ai 18 gioca a pallavolo a livello agonistico. Le piace lo sci, la canoa, i pattini, la palestra e accarezza tutti gli sport che nulla hanno di femminile. Nel 2012 arriva alle moto, sua passione di sempre, ora legata all’Amore. E non si parla di moto in modo normale ma di freestyle motocross, il suo ragazzo, Carlo, è un pilota del Tea Daboot (per intenderci il freestyle motocross è l’abilità dei piloti nel compiere acrobazie durante i salti mediamente di 45 metri di lunghezza arrivando al altezze di almeno 18 metri) e questo diventa il suo mondo negli ultimi 3 anni della sua vita. Con lui gira il mondo e vive l’amore così detto con la A maiuscola. Sara è una ragazza che ama la vita e la vita le sorride. Tanti amici, mille cose da fare, tanti progetti per il futuro, l’obiettivo prossimo, per puro interesse personale, la laurea in psicologia. Una figlia meravigliosa. Poi la tragedia, tutto si spezza, tutto crolla, tutto finisce. Sara esce di casa verso le ore 18,30 di lunedì 5 gennaio 2015 e non torna più. Verso le ore 22,40, un suo amico mi telefonava dicendo che Sara ha avuto un incidente e che è svenuta. Nel giro di 10-15 minuti io e mio marito siamo lì. Sara è in ambulanza e i medici le stanno prestando le prime cure. I due ragazzi in auto con lei sono praticamente e fortunatamente quasi illesi. Il medico ci dice: è in coma, sedata, in pericolo di vita, seguite l’ambulanza. Quel suono di sirene non mi abbandonerà mai, ogni volta che le sento rivivo lo strazio. Quel viaggio verso il Policlinico di Pavia, seguendo l’ambulanza che trasportava mia figlia, mi è sembrato infinito. Poi la vedo, non vedo ferite, non vedo sangue, sembra dormire, il suo viso è bellissimo, rilassato, le dico: dai cucciolo la mamma è qui. Nemmeno per un attimo ho pensato di perderla per sempre. Arriva Carlo con la sua mamma, siamo tutti lì, aspettiamo notizie. Un arresto cardiaco ma superato, trasfusioni massicce di sangue, “le facciamo la TAC e poi la portiamo in sala operatoria”. Alle 2 e 10 dal 6 gennaio 2015 arriva un medico e dice: “abbiamo provato di tutto ma non ce l’ha fatta”. NO, NO, NO………….. cosa dice, non può dirmi questo, dov’è Sara …………. Ho un barlume di lucidità: Sara era una fervida sostenitrice della donazione degli organi, lo dico al medico e do’ il consenso per l’asportazione. Risposta: “possiamo prelevare solo le cornee”. Così è stato fatto. La vita è finita. Perché respiro? Matteo, devo chiamare Matteo. Gli ho proibito di venire a Pavia perché sarebbe arrivato correndo in macchina. Cosa gli dico. Non posso, non è vero … perché … impazzisco. Tremo, continuo a tremare, non riesco a muovermi. Dov’è Sara. Sara ti prego vieni da mamma. Sara non è possibile. Papà dov’è? Eccolo, è rannicchiato in un angolo, è seduto per terra, piange, singhiozza, lo abbraccio forte, non parla piange. Carlo si sta rovinando una mano con dei pugni contro lo stipite della porta, la sua mamma piange … è tutto assurdo, surreale, dove sono? Mi dico: forza Liliana, mi sembra di sentire Sara, dai mami (come diceva lei), forza mamma, dai!!!! E’ un incubo!!! Chiamo Matteo …. Urla, urla NO NO, mamma ti prego No!!!! Ho cercato di consolare la sua disperazione, le sue urla i suoi singhiozzi. Il medico: “potete vederla”. La mia bambina giaceva su un lettino del pronto soccorso. Le avevano dovuto tagliare i suoi meravigliosi, lunghi-biondi capelli e aveva due punti di sutura sul cranio. Nessun altro segno sul suo corpo. Bellissima come sempre, ancora truccata come quando era uscita di casa, senza un graffio. Io e mio marito abbiamo tentato di riscaldarla, lei soffriva il freddo ed era quasi fredda, l’ho chiamata, baciata, pettinata, coccolata, volevo ridarle la vita che le avevo dato 25 anni fa, ho intrecciato le sue dita con le mie e mi sono appoggiata la sua mano sul cuore, le ho parlato, le ho detto vai con i nonni (miei genitori defunti 8 anni fa) stai tranquilla loro penseranno a te. Ho aspettato e sperato, nonostante tutto, che lei si alzasse e mi chiedesse “mami perché piangi?” Poi il nulla. Lo stupore nel constare che continuavo a respirare, a vivere, come potevo, ancora oggi me lo chiedo. Vivere: parola errata, io ora sopravvivo nel dolore più assoluto. Con mia figlia avevo un rapporto bellissimo di confidenza, condivisione, complicità. Nessun segreto della sua vita, mi raccontava tutto, condivideva con me tutto, era un libro aperto, ore ed ore a chiacchierare tra noi. La sua morte è impossibile da accettare. Razionalmente so che non vedrò mai più mia FIGLIA, ma quotidianamente aspetto che LEI torni da me. Quando entro in casa mi aspetto ancora di sentire il suo saluto “CIAO MAMI”, vado nella sua nuova cameretta che le ho creato e spero di vederla seduta ad aspettarmi, le apro ancora il garage come facevo sempre e aspetto di sentire il rumore della Mini che imbocca la strada, nel frigorifero c’è sempre una confezione di “estathe’ al limone” la sua bevanda preferita, ascolto al telefono i suoi messaggi vocali che mi aveva inviato, guardo i suoi video per vederla ancora muoversi, ridere, cantare. Per poter sopravvivere ho bisogno di tutto questo. Mi manca ed ora la parola “morte” per me significa andare da lei, ritrovare mia figlia, la mia bambina. L’atteggiamento sconsiderato di un automobilista che non prestava nessuna attenzione alla guida della sua auto ha posto fine alla vita di mia figlia Sara di soli 25 anni. Ha dichiarato “stavo ascoltando una partita di calcio e mi sono distratto”. Mia figlia ha perso la vita per una partita di calcio, per una distrazione. La sua condotta ha trasformato un’auto in un proiettile sparato a caso e sicuramente deleterio per chiunque ne venisse colpito, ed ha colpito la mia bambina uccidendola. Poteva provocare una vera strage uccidendo non uno ma ben tre ragazzi, che tranquillamente tornavano a Vigevano ignari dell’arrivo di una persona irresponsabile. Sara, la mia bambina, si è accorta del pericolo ed ha tentato in ogni modo di evitarlo. Per 23 metri ha guidato quasi completamente nel campo adiacente alla strada. Non mi do’ pace al pensiero che Sara, negli attimi prima dell’impatto, ha avuto percezione di quello che le stava succedendo, ha sicuramente avuto paura, ha avuto la chiara percezione che un’auto le stava piombando addosso, ha urlato “cosa sta facendo …..” (hanno detto i ragazzi in auto con lei) ha capito che non aveva scampo, HA VISSUTO IL TERRORE! Ed io che per tutta la vita l’ho protetta, nulla ho potuto. Il 6 gennaio 2015 un automobilista con la sua condotta irresponsabile e delittuosa ha condannato a morte mia figlia Sara ed ha eseguito la condanna. Il 6 gennaio 2015 quell’automobilista ha emesso nei mie confronti ed ha eseguito condanna ad un ergastolo di dolore devastante, disperazione continua, di non vita. La nostra era una bella famiglia, serena, tranquilla, proiettata nel futuro di Sara e Matteo. Ora quella famiglia non esiste più. I “superstiti” io, mio marito e mio figlio siamo completamente distrutti, annichiliti da un dolore inconsolabile da una mancanza che giorno per giorno diventa sempre più grande. Nessuno di noi è più come prima. Non c’è più vita nella mia casa! Il futuro di Sara è stato annientato. Lei laureata in scienze della comunicazione si stava preparando per laurearsi in psicologia. Da anni aveva costruito un rapporto stabile e felice con Carlo, insieme avevano sia progetti lavorativi che di convivenza per crearsi una famiglia. Sara non sarà più moglie; non sarà più madre; non sarà più nulla. Io non vedrò più realizzarsi i sogni di mia figlia. Non potrò più gioire dei suoi successi. Non sarò mai nonna, non sarò mai più nulla. Da quella notte: solo DOLORE! Per provvedere all’autopsia di mia figlia Sara sia io che mio marito abbiamo dovuto identificare il suo corpo e poi aspettare l’esito per ottenere il nulla osta per poterci riportare a casa la nostra bambina, ebbene sentire il rumore della sega elettrica che apre il corpo di tua figlia, seppur morta, non lo auguro a nessuno. DEVASTAZIONE TOTALE! Mai quell’automobilista “distratto” ha sentito il bisogno di dirmi “mi dispiace”. Lui continua tranquillamente la sua vita, la mia bambina no, la mia famiglia no, io no. |